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Basilica e Catacombe di San Pancrazio

Tipologia: Basilica minore, Chiesa parrocchiale

Indirizzo

Indirizzo: Piazza di San Pancrazio, 5
Zona: Quartiere Gianicolense (Roma ovest)

Contatti

Telefono: 06 5810458 - 06 4465610

Orario

 Per gli orari delle messe e le modalità di visita rivolgersi ai contatti indicati.

Le Catacombe sono chiuse per restauro, per eventuali visite rivolgersi direttamente alla Pontificia Commissione dell'Archeologia Sacra Tel. 06-4465610

Descrizione

Nel cuore di Monteverde a Roma, poco fuori la porta Aurelia, c’è un’antica basilica martiriale paleocristiana, San Pancrazio, inserita in una vasta area funeraria all’aperto e insistente sulle gallerie di una interessante catacomba. La sua storia è complessa e per molti versi ancora da approfondire. Dei quattro nuclei cemeteriali cristiani che corredarono le due vie Aurelie, la vetus e la nova, quello di S. Pancrazio sulla vetus fu senza dubbio il più importante.

La basilica fu costruita per volere di papa Simmaco (498-514) sul luogo di sepoltura del famoso martire giovinetto, venerato come vendicatore e custode dei giuramenti. Che il suo culto fosse in piena fioritura durante il VI secolo, possiamo dedurlo da incontestabili dati storici: già al tempo delle guerre greco-gotiche (535-553) la porta dell’Aurelia vetus viene chiamata porta San Pancrazio, nome rimasto costante fino ai nostri giorni. E’ nel corso del V, ma forse anche nel VI secolo che viene elaborato il racconto edificante, la passio, della fine del giovane martire riferita al tempo delle persecuzioni dioclezianee, per l’esattezza al maggio del 304: il quattordicenne Pancrazio, rimasto orfano, era giunto a Roma dalla Frigia, insieme allo zio Dioniso. Entrambi si erano convertiti ben presto al cristianesimo, ma Dioniso cade subito vittima delle persecuzioni, mentre il giovane nipote viene catturato e condotto al cospetto dell’imperatore. Senza mostrare alcuna paura, rigetta con parole di fuoco il culto degli dei ed inveisce contro di loro, procurandosi così un rapido martirio. A notte fonda, una pia matrona cristiana di nome Ottavilla recupera nascostamente il corpo del ragazzo, abbandonato lungo la via Aurelia, riuscendo a dargli una sepoltura dignitosa nel vicino cimitero.

In questo racconto ci sono due elementi da tenere in considerazione: il fatto che il martire venne sepolto in un cimitero della via Aurelia, e la sua origine orientale, che trova riscontro nelle numerose sepolture ed iscrizioni greche ritrovate nella catacomba sottostante la basilica di Pancrazio. Dal Liber Pontificalis apprendiamo che, quando papa Simmaco dedicò la sua fondazione, la dotò di un arco d’argento e di un balneum, fatto quest’ultimo che fa riflettere sull’importanza del primitivo complesso e dei servizi di cui fu corredato. Secondo le ipotesi la basilica simmachiana era a tre navate, compresa nel perimetro di quella attuale e pressappoco delle medesime dimensioni.
 La venerazione e l’affetto dei fedeli per S. Pancrazio non venne meno con il passare del tempo, al punto che nel corso della prima metà del VII secolo si resero necessari nuovi e radicali interventi, eseguiti per volontà di papa Onorio I (625-638), forse anche in seguito ai danni delle guerre greco-gotiche.


La basilica di Onorio I è quella che sostanzialmente oggi ci è pervenuta.

Le grandi dimensioni, circa 55 metri di lunghezza, ci convincono dell’importanza che il pontefice volle dare al rinnovato centro di culto. Il pontefice fece dunque costruire una nuova basilica sul posto dell’antica, che fu sicuramente dotata di transetto e di una innovazione sperimentata fino ad allora solamente in S. Pietro, per favorire la venerazione dei fedeli al Principe degli Apostoli: la cripta semianulare. E’ indirettamente a causa di questi lavori che veniamo a conoscere un particolare interessante: per la prima volta dai tempi della sua sepoltura nel lontano IV secolo, il corpo del martire venne spostato, per collocarlo nella sede più degna, cioè sotto l’altare, all’interno della cripta. In precedenza nella chiesa di Simmaco, esso giaceva in posizione anomala, posto in obliquo nel mezzo dell’aula.

In passato alcuni studiosi, avevano avanzato l’ipotesi che la basilica onoriana avesse, sia pure in minima parte, conservato tracce dell’edifìcio precedente simmachiano, ma attualmente c’è una generale concordanza nell’affermare che tutte le parti antiche della basilica, per la precisione la zona del transetto e della cripta, nonché rimpianto generale della costruzione, si debbano ad Onorio I e che della precedente fondazione simmachiana non si possa più sicuramente indicare una qualche parte. Nei secoli successivi la chiesa venne a più riprese restaurata e abbellita da vari pontefici: Adriano I (772-95) e Leone III (795-816). Nell’anno 1061 abbiamo notizia del primo abate di S. Pancrazio divenuto cardinale, e nel 1249 la basilica fu oggetto delle cure dell’abate Ugo, che donò due preziosi amboni in stile cosmatesco e fece fare vari altri lavori di abbellimento.

Tuttavia pochissimi anni dopo, nel 1257, per ragioni che restano del tutto oscure, i monaci Benedettini lasciarono la cura della basilica, trasferendosi ad Albano: non abbandonarono però la devozione a S. Pancrazio, portandone il culto nella loro nuova sede, e facendone in breve tempo il patrono della cittadina laziale. Per quasi due secoli l’antica fondazione fu affidata alle Benedettine cistercensi, finché dopo alterne vicende, il papa Leone X decise nel 1517 di farne un titolo cardinalizio, affidato cioè “d’ufficio” alle cure di un cardinale, fatto che si può dire contrassegna l’origine di questa antica parrocchia. Secondo la descrizione lasciataci dall’Ugonio, famoso scrittore e studioso di cose cristiane, che ebbe a visitarla personalmente intorno al 1565, la basilica a quell’epoca si presentava ridotta a navata unica, privata delle laterali con la costruzione di due muri che isolavano la navata centrale, prolungandosi poi anche a tagliare fuori le ali del transetto.

La navata destra risultava incorporata al monastero, mentre la sinistra, rimasta senza copertura, era stata abbandonata alla rovina. In età barocca S. Pancrazio fu oggetto di restauri imponenti e di grandi opere di abbellimento, ad opera prevalentemente dei cardinali titolari Lodovico de Torres e di suo nipote Cosimo, lavori che si protrassero per quasi tutto il corso del XVII secolo. Le navate laterali, di cui la chiesa era stata privata, vennero restaurate e reintegrate nell’edificio, lo snello colonnato paleocristiano fu sostituito da più massicci pilastri. Nuovi affreschi, attribuiti al Tempesta, coprirono il presbiterio, ed un magnifico soffitto ligneo a lacunari, con le armi dei De Torres e del papa Paolo V Borghese, coprì la navata centrale. Attualmente si possono vedere alcune delle colonne originali reimpiegate in vario modo: una nella piazza antistante la basilica e due nel cortile; un’altra utilizzata come cero pasquale, mentre due incorniciano il portale maggiore della chiesa e una, sezionata, funge da stipite dei portali laterali; anche la colonna che si trova attualmente al centro della piazza S. Francesco a Ripa in Trastevere, appartiene forse a S. Pancrazio, così come quelle che ornano il Casino della Villa Pamphili. La muratura paleocristiana onoriana in “opera listata” a fìlari di tufelli e mattoni si vede ancora chiaramente lungo il fianco esterno della navata sinistra, spesso disturbata dai necessari interventi della restituzione seicentesca, distinguibile per una muratura in rozzi mattoni e materiale vario di reimpiego.

Troviamo ancora l’opera listata nella muratura dell’abside, che conserva ben visibile la semplice impronta di due finestre mai aperte. I grandi lavori voluti dai due cardinali titolari de Torres nel XVII secolo, conferirono alla chiesa l’aspetto barocco, che ancora oggi si sovrappone, come una consistente patina, al suo originario aspetto di basilica martiriale paleocristiana, della quale si leggono ancora tutte le caratteristiche architettoniche e gran parte delle murature, nonostante i lunghi secoli e l’esistenza travagliata.

Nel 1662 la basilica venne affidata alla gestione dei Carmelitani scalzi, che ancora oggi la curano, e che subito provvidero ad effettuare alcuni restauri ed anche degli abbellimenti: un fregio in stucco, con puttini che sorreggono un festone, lungo la navata centrale, ed otto grandi bassorilievi, sempre in stucco, nelle navate laterali. Nel 1798 l’antica basilica dovette subire la violenza dei soldati napoleonici che portarono devastazioni e drammatiche mutilazioni al sacro luogo. I preziosi amboni cosmateschi che vi si conservavano vennero asportati e distrutti, le lastre dei marmi che ornavano la chiesa vennero scrostate dalle pareti e portate via, come pure le rare colonne di porfido che sostenevano il baldacchino sopra l’altare, due delle quali vennero restituite dai francesi nel 1814 e si trovano riutilizzate nell’attuale baldacchino. Appena mezzo secolo dopo, nel 1849, la basilica si trovò a far parte della prima linea del fronte tra i francesi del generale Oudinot, intervenuti in soccorso del pontefice Pio IX e i garibaldini, accorsi a difendere la Repubblica Romana. I danni all’antica struttura furono notevoli: distruzione dell’antico recinto presbiteriale cosmatesco, deturpate e mutilate sculture e pitture, come pure i rivestimenti marmorei e gli ornamenti dell’altare maggiore. Alla distruzione e ai saccheggi si aggiunse la profanazione delle reliquie del martire, conservate in un’urna di porfido e peperino: le ossa vennero irrimediabilmente disperse, infatti oggi nella chiesa ci sono reliquie di S. Pancrazio, ma provenienti dal Laterano.

Vedi anche

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Data di ultima verifica: 27/06/22 10:13